lunes, 2 de julio de 2012
L’orfico e lo chiaro in due poesie ad un medesimo fiore
“Con le azioni gradite agli Dèi il tuo umore fa felice, poiché essa il più alto dei profitti contiene”. Baquilides, Epinicio III.
Ci sono diversi nomi nel sermo ruralis per l’arbusto e il suo famoso fiore “signora di notte”, è anche chiamata il “fiore del ballo”, “regina della notte”, “fiore di notte”. Si hanno occupato del fiore alcuni botanici nel paese. Henri Pittier ha studiato il fiore brevemente, lo chiama (per sineddoche) “regina della notte” nel suo Manual de las plantas usuales de Venezuela. -Caracas, 1970. p. 359-, ha dettagliato il cespuglio con piú estensione Jesús Hoyos nella sua Flora tropical ornamental. -Caracas, 1978. p. 82-, abbiamo selezionati alcune righe di questo testo:
“Originario dell’America tropicale, è ampiamente distribuito dal Messico al Brasile, tra cui Le Antille. In Venezuela cresce allo stato selvatico nelle zone calde del nord del Paese e in forma di coltivo nei cortili e giardini urbani. [...]. Fiori bianchi, grandi, vistosi, profumati, che si aprono la sera. Hanno un lungo tubo floreale da 14 a 30 cm di lunghezza, con il quale sono proiettati al di sopra e lontano dal margine dei rami”.
Appartiene alla famiglia Cactaceae, il termine scientifico: Epiphyllum oxypetalum. Devono scartarsi di questo panorama espositivo due ben noti, Soanaceae: “signora di giorno” -Cestrum diurnum- “signorina di notte” -Cestrum nocturnum- entrambi altrettanto di fiori piacevolmente profumati.
Rosalina García consacra nella sua collezione De intima brasa. -Caracas, 1987, p. 64- un poema intenso al fiore di questo arbusto, “SIGORA DI NOTTE”. Carlos Augusto León ai suoi lettori, nel suo libretto lirico Juegos del yo. -Caracas, 1989-, gli dona l’ultima oda -su trasparenti versi- di tale volume, etichettato “FIORE DEL BALLO”. Le due poesie, anche se profilati intorno alla stesso fiore, si differenziano nel essere, altrettanto nella genesi, della creazione poetica. Nasce uno da un fare composizionale orfico, quello di Rosalina García, l’altro è stato imbastito al ritmo di una disposizione razionale. Nel primo la bellezza al segreto si fonde, nella secondo la bellezza diafana sui sentimenti espressi cavalca.
Qual è l’orfico nella lirica? Ciò significa che l’orfico nel poema la musica dello nascosto portatrice di saggezza dal “senso interno -Kant-, dello saputo, del “vedere” anticipatore, della anamnesi scappata della notte dell’esistenza. Esce fuori questa singolare “melopeya” alla penombra, la rivelatrice armonia della occulta saggia bellezza -kalosofia- situata al di là della verità limpida del viso della natura -del phainein physeos-. Carica nel suo seno l’orfico una densa musicalità impregnante delle parole dei versi, essa mai il suo assoluto svela ma lascia sentire il suo opaco rimbombare lontano. Poeticizza il trovatore orfico, sebbene a volte non si percepisca così, dall’orlo stesso della morte –intellettualizzato, non reale- se non guardando verso la vita.
Davanti, quindi, alla ventura al limite dell’abisso -concettualizzato- sentendo nella nuca lo spesso fiato emesso dell’enorme bocca del drago del Nulla. Arrivano tali suoni all’anima, nutrono i sentimenti, incarnano le voci. Commuovono quando vanno oltre, si tramutano in versi le cui parole solo trascinano presentimenti, emozioni trasfigurate per catturare in ritmi pensanti, in saggia melodia, con inquietante certezza, i distanti squilli delle campane del timore reverenziale, il rimbombare delle porte di ferro arrugginito del arcano. Raggiunge, dunque, la poesia orfica -qualsiasi breve, possibile, istante- alcuna latitudine del sacro.
Nella letteratura l’orfico in nessun momneto giace in un culto esterno estetico o una offerta per il mistero che va nella sua ricerca, no: appartiene l’orfico alla condizione innata di alcuni poeti, un invito proveniente dall’interno della creatività stessa del bardo, la quale si assume o si scarta.
Potrebbe essere concettualizzato l’orfico nella semplice composizione mediante l’idea della pulchritudo oscura nel suo dire poetico -la bellezza segreta, nascosta, difficile-.
Platone mette in bocca di Socrate nel dialogo Hipias Mayor, questa finale assioma: “Le cose belle sono difficili”. -Messico, Porrúa, 1972. p. 247-. Indica la prima condizione pulchritudo oscura, la libertà, assoluta, del pensare.
Al’emergere, plasmarsi, nella scrittura la voce interiore del poeta lo fa attraverso un ordito di versi il cui significato risulta opaco al lettore, questo, allora, indaga poi nella sua illustrazione, cogita, contempla. I vocaboli mediante essa musicalità emanate dal rimbombare dei bonces del mistero, riflettono nella sua strada al chiarore fertili sentimenti spirituali artistici, reminiscenze di quello dimenticato, segnali provenienti dai sogni “irrumpientes” nello stato di veglia. -“Tutto intorno qua e là, variamente imitato, si trovano i sogni vaghi come picchi c’è in un campo di grano maturo” [...].
Ovidio, Las metamorfosis. México, Porrua, 1977, p. 162-. Con questi sedimenti di stato d’animo i livelli evocati dalla cantiga si conformano, il tessuto dello enigmatico, quindi, del corpus odico, deriva lo poetico. Ecco, l’oda di Rosalina García, “SIGNORA DI NOTTE” [...] bellico annuncio mi portai la congiunzione del astro con il fiore; così inebriante era il suo profumo come “acerado el brillo” della stella. Analfabeta dei cieli, Evoca la saggezza degli antenati, Nascosto tra le rovine delle foreste. Uno di loro mi ha lasciato questa daga”.
Fornisce la prima strofa di un essere al fiore di quel arbusto, estratto dall’orizzonte della cadenza videnziale, del melos, l’aroma, “acerado brillo”, della notte aggiogata al suo corteggiamento di entità infinite. Rivela, così, la natura poetica di quella presenza botanica. Decifrare, attraverso i suoi ritiri nella contemplazione di sé il giullare, nella seconda strofa un “sapere” delle “rovine della giungla”, ottenuto dalla faccia della stella bianca del fiore profumato quale lacrima della Luna -viso, advocazione della Dea della vita selvatica, Dea Diana-.
Comprende la terza strofa un verso solo. Traduce il livello evocato della metafora, “daga”, il livello relativo di: la parola? Il dono dato dalla foresta? Illuminando la natura orfica della “signora di notte” questa in cambio li svelò mediante l’incantesimo del “profumo” nella “bellica” notte della giungla, la ”daga”, la parola, ovviamente, convertita nella cantiga stessa, essa laude, essa aria di notturno schubertiano, in questi otto versi.
Orfeo -il mistico re, musicista tracio- dopo la morte del suo Euridike non canto più all’allegria, alle gioie con la sua ninfa nella foresta. Ritornerà Orfeo nella sua futile ricerca di driade nel paese di Hades, il regno dei morti, l’arcipelago del Nulla, solo con la memoranza di Euridike tramuta in lamento, solo un pezzo di tramonto fatto nostalgia. “Esencian” ora i loro canti voci di quello che é nascosto, emerge un paesaggio interiore scuro, profondo, enigmatico, malinconico. Ebbe inizio cosí nel mythos, questa dimensione della lirica. Un pó dopo, già visibile nella pianura della storia letteraria nel primo grande spazio della classicità, il paradigma della poesia orfica lo rappresentará -tra le sue tante altri virtù scritturale- Pindaro -circa 520-440 a.c-.
Parallela –relativamente- a questa entità composizionale Odica altro fu scritto sulla lunga strada della letteratura occidentale, questo invece versava nei versi la lirica esponente, riflettente, della realtà immediata, lo circostanziale del poeta, lui stesso con i suoi sentimenti, le intime emozioni, i piaceri somatici dello erotia, i dolori “aposenianos” nella psiche: la natura nel suo significato biologico, geografico, paesaggi, i boschi, i fiumi, il mare, in particolare il Sole: la luce alla logicità notoriamente assiste; presenti nelle stesse dimensione le passioni del humanus, le paure davanti il male, l’amore immerso nel labirinto dei suoi strati -il conflitto del Eros-. Sempre fedele alle percezioni di queste multiple “essistenze”, per questo impiego la parte della sua mente più efficace per enunciare la vita: la ragione.
Portavano quelle composizioni le loro necessarie attinenze: la musicalità per la fortunata gestione delle risorse espressive artistiche del linguaggio, più l’emotività, l’affettività, la suggestionabilità, ma monitorate dalla logica insieme alla patetica vocazione dalla realtà. La ragione, pertanto, circa lo scrittore aveva lasciato cadere il suo mantello, il lampo del fulmine prevalse sul suo spirito. Ebbe origine così nelle cantigas l’idea della pulchritudo chiara, rationalis -bellezza trasparente, sollevata sul limpidom ordito disposizionale dei versi-.
La pulchritudo chiara, rationalis trovo in Orazio -Quintus Horatius Flaccus: 65-8 a JC- il suo esponente più ricercato nel capitolo latino dell’Antichità Classica, si espanderà quella brillantezza nata dal fulmine della ragione per il occidentale del mondo, arriverá a Venezuela aggiogato all’origine della sua singolare poesia, che a sua volta coincide con l’avvento della Patria resa indipendente, libera, autonoma, sovrana. All’interno di questa concezione della creatività umanistica Andres Bello costituisce la sua opera lirica il paradigma della pulchritudo chiara, rationalis nel Continente Latinoamericano.
Dovrebbe chiarire, forse, quest’altra dimensione del odica la frase di un filosofo che ha affermato di un aspetto nell’essenza dell’arte: “il reale gli dà all’uomo lo splendore fino ad allora nascosto” -M. Heidegger, Ciencia y meditación-.
In questa contemporaneità, in questo spazio intellettuale, i canti di Carlos Augusto León si trovano. Ecco qui la sua elegia “IL FIORE DEL BALLO… Ero nella mia tristezza e improvvisamente aprì “il fiore del ballo”, quella dei lunghi petali che scoppiano di bianchezza… Solo una volta all’anno riempie tutta la notte la sua fragranza, muore all’alba. Ero nella mia tristezza e mi son detto ben vale la pena di vivere per guardare cose come queste, anche solo una volta all’anno”.
La disciplina intellettuale di Carlos Augusto León costruita sulla ideologia del materialismo scientifico engelsiano gli ha impedito di addentrare la sua poesia nelle stanze spirituali artistiche dell’orfico, dello enigmatico, dell’oniria, sempre ha mantenuto i suoi versi inscritti tra i confini di una bella espressione di alta suggestività alla pari di una radicale trasparenza, più controllata –monitorata- dalla passione del fulmine della logica, senza rigettare l’implicito sentimento “natal”.
Nel suo libro Los dísticos profundos. -Caracas, 1984. p. 64- scrive [...] “Vorrei per i versi la chiarezza del trinco.” [...]. Sia dal luccichio del tramonto o sotto il bagliore del fulmine, i due poeti con la profonda voce della sua anima hanno composto due meraviglioso odi, molto diverse, ad un stesso fiore della botanica nativa, “la signora di notte”, detta anche “il fiore del ballo”. meraviglioso odi, molto diverse, ad un stesso fiore della botanica nativa, “la signora di notte”, detta anche “il fiore del ballo”.
Tradotto da: http://lenincardozo.blogspot.com/2012/06/lo-orfico-y-lo-nitido-en-dos-poemas-una.html Lubio Cardozo, Lo órfico y lo nitido en dos poemas a una misma flor. Miércoles, 6 de junio de 2012.
Lenin Cardozo | ANCA24 – Hugo E. Méndez U. | ANCA24 Italia
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